Trib. Milano 27.9.25
CESSIONI DI CREDITI IN BLOCCO: IL TRIBUNALE DI MILANO ANNULLA UN DECRETO INGIUNTIVO. LA PROVA DELLA TITOLARITÀ È UN ONERE INDEROGABILE.
Una recente sentenza del Tribunale di Milano ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei debitori, accogliendo l’opposizione a un decreto ingiuntivo e revocandolo per difetto di prova della titolarità del credito in capo alla società cessionaria.
La decisione si inserisce in un solido filone giurisprudenziale che impone oneri probatori rigorosi alle società che acquistano crediti “in blocco”, specialmente quando la loro legittimazione ad agire viene contestata.
IL CASO CONCRETO: UNA CATENA DI CESSIONI NON PROVATA.
La controversia trae origine da un decreto ingiuntivo di quasi 15.000 euro, ottenuto da una società a responsabilità limitata nei confronti di un privato cittadino per il mancato pagamento delle rate di un finanziamento stipulato originariamente con Findomestic Banca S.p.A..
La società ricorrente sosteneva di essere divenuta titolare del credito a seguito di una complessa catena di cessioni che aveva visto il debito passare da Findomestic a Banca Ifis, poi a P&G SGR S.p.a. e, infine, alla società che aveva richiesto l’ingiunzione.
Il debitore, opponendosi al decreto, ha eccepito in via preliminare la carenza di legittimazione attiva della società, sostenendo che quest’ultima non avesse fornito la prova dell’effettiva inclusione del suo specifico credito nelle varie operazioni di cessione.
Il Tribunale di Milano, accogliendo l’opposizione, ha sottolineato come nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore (convenuto in opposizione) mantenga la posizione di attore in senso sostanziale, su cui grava l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa.
Analizzando la documentazione prodotta, il giudice ha riscontrato gravi lacune probatorie:
Prima cessione: Il documento prodotto non poteva essere qualificato come contratto, in quanto mancava la sottoscrizione per accettazione da parte della cessionaria Banca Ifis.
Seconda cessione: Era stato prodotto un elenco di crediti, ma senza alcuna prova del suo collegamento con il relativo contratto di cessione, anch’esso firmato solo dalla parte cedente.
Terza cessione: Il contratto di cessione finale non era firmato e, in modo dirimente, l’elenco dei crediti allegato non conteneva il nominativo del debitore opponente.
Di fronte a tali carenze, il Tribunale ha concluso che la società opposta non aveva provato il trasferimento del credito in proprio favore, ravvisando un difetto di titolarità del diritto azionato e procedendo alla revoca del decreto ingiuntivo.
L’ONERE DELLA PROVA NELLE CESSIONI IN BLOCCO: UN PRINCIPIO CONSOLIDATO.
La decisione milanese si allinea perfettamente all’orientamento ormai granitico della Corte di Cassazione e della giurisprudenza di merito in materia di cessioni di crediti in blocco ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario (TUB).
La giurisprudenza ha chiarito che, sebbene la pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale esoneri il cessionario dalla notifica individuale a ciascun debitore ai fini dell’opponibilità della cessione (art. 1264 c.c.), tale adempimento pubblicitario non costituisce di per sé prova dell’esistenza del contratto di cessione né, tantomeno, dell’inclusione di uno specifico credito nell’operazione.
Come ribadito da numerose pronunce, inclusa quella in commento, spetta alla parte che si afferma cessionaria, qualora il debitore contesti la sua titolarità, fornire la prova documentale della propria legittimazione sostanziale.
La Suprema Corte ha precisato: “in caso di contestazione della titolarità del credito in capo all’asserita cessionaria, il mero fatto, pur pacifico, della cessione in blocco ex art. 58 TUB non è sufficiente ad attestare che lo specifico credito oggetto di causa sia ricompreso tra quelli oggetto di cessione. La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un’operazione di cessione in blocco ex art 58 D. lgs nº385 del 1993, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta” (cfr. Cass. n. 24798/2020, conformi Cass. n. 4116/2016, Cass. n. 22268/2018, Cass. n. 24798/2020).
La questione della titolarità del credito, inoltre, non è una mera eccezione processuale, ma attiene al merito della causa e al fondamento stesso della domanda, tanto da essere rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio.
QUALE PROVA DEVE FORNIRE IL CESSIONARIO?
Per superare la contestazione del debitore, il creditore cessionario non può limitarsi a produrre l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, specialmente se generico. È tenuto a depositare in giudizio il contratto di cessione e, soprattutto, gli allegati che individuano i crediti oggetto del trasferimento. La giurisprudenza ha più volte sottolineato l’essenzialità di tali elenchi, che devono essere chiaramente collegati al contratto di cessione e, preferibilmente, sottoscritti dalle parti, per fornire una prova certa dell’operazione.
IMPLICAZIONI PER DEBITORI E SOCIETÀ DI RECUPERO CREDITI
La sentenza del Tribunale di Milano, insieme al consolidato orientamento giurisprudenziale, rafforza la posizione dei debitori ceduti. Essi hanno il diritto di esigere che chiunque pretenda un pagamento dimostri in modo inequivocabile di esserne il legittimo titolare.
Una contestazione ben fondata sulla carenza di legittimazione attiva può portare, come nel caso esaminato, all’integrale accoglimento dell’opposizione e alla revoca del provvedimento monitorio.
Per le società cessionarie e per chi opera nel mercato dei crediti deteriorati (NPL), emerge la necessità di una gestione documentale impeccabile. È cruciale non solo acquisire, ma anche conservare e poter produrre in giudizio, l’intera catena di contratti di cessione, completi di tutti gli allegati necessari a identificare senza incertezze ogni singolo credito. L’incapacità di fornire tale prova espone al rischio concreto di vedere le proprie pretese respinte in sede giudiziaria, con conseguente condanna al pagamento delle spese legali.

